Dott.ssa Lucia Caprile -
Faccio un sogno. (...) Sono seduto, in pigiama, sul bordo del letto. Grossi numeri di plastica, come quelli con cui giocano i bambini, sono sparpagliati sul tappeto, davanti a me. Devo "mettere in ordine i numeri". È questa la consegna. L'operazione mi sembra facile, sono contento. Mi chino e tendo le braccia verso i numeri. E mi accorgo che le mie mani sono sparite. Non ci sono più mani in fondo al mio pigiama. Le maniche sono vuote. A gettarmi nel panico non è la scomparsa delle mani, è il fatto di non poter raggiungere quei numeri per metterli in ordine. Cosa che sarei stato in grado di fare. (Diario di scuola, Daniel Pennac)
I perché di un compito non riuscito, non svolto, possono essere innumerevoli.
A volte semplici caratteristiche peculiari di un dato compito, come un muro, possono frapporsi fra i ragazzi e il compito stesso, per poi scontrasi con le loro singole abilità, con il loro specifico stile di apprendimento, con gli strumenti a disposizione, senza per altro che loro stessi possano rendersene conto.
Il rischio è quello per cui bambini e ragazzi, non capendo di trovarsi di fronte a compiti non adatti a loro, pensino di essere loro stessi quelli inadeguati, se non addirittura incapaci.
Bisogna pensare poi alle possibili conseguenze di queste esperienze di non-riuscita, di frustrazione, all'influenza che queste avranno anche solo semplicemente sui loro apprendimenti futuri.
Nello sviluppo del bambino – è evidente nei neonati - ogni esperienza di apprendimento interviene su un'altra, in una catena infinita. E così sarà per tutta la vita, finché ci si misura con l'imparare.
Non si può dunque non considerare il peso che può avere su questo ciclo, continuo e fondamentale, il sentirsi privi di capacità ed impotenti di fronte a compiti nuovi.
Tutti i bambini/ragazzi sono diversi, per cui non si può pensare esista un unico compito, cucito su misura sulle caratteristiche di tutti.
Ognuno avrà proprie risorse e potenzialità, e strumenti prediletti, per affrontarlo.
Ciò di cui tutti allora avranno realmente bisogno, in prima battuta, sarà l'aver coscienza di questo, in modo da sbloccare insieme due vie: il senso di autoefficacia prima e la riuscita del compito dopo, avendo cognizione della reale possibilità di trovare strategie e strumenti propri per affrontare quella nuova prova.
Si tratta quindi di avviare e incentivare in bambini e ragazzi un lavoro di metacognizione, ovvero il raggiungimento di una sempre maggiore consapevolezza, non solo circa le proprie capacità, ma anche circa la natura del compito stesso e l'interazione possibile fra i due aspetti.
La metacognizione è "pensare sul pensiero", vale a dire riflettere sulle proprie caratteristiche cognitive: una marcia in più nei processi di apprendimento.
Questo tipo di riflessione permette infatti un monitoraggio - e insieme verifica - costante dell'andamento dell'imparare e delle modalità di affrontare i compiti.
Ciò pone lo studente in una posizione attiva rispetto al suo stile di apprendimento, le sue capacità e le strategie da utilizzare, in relazione alla richiesta che, a seconda della sua natura, andrà a chiamare in gioco abilità diverse. Il ragazzo "metacognitivo" saprà rispondere con un piano d'azione e strumenti adeguati, dimenticando così la sensazione di impotenza: avrà infatti, di fronte a sè, diverse e concrete possibili vie da percorrere.